Stone Temple Pilots: “Core” (1992)

20 09 2008

Titolo: Core
Autore: Stone Temple Pilots
Anno: 1992
Best Songs: Dead And Bloated, Creep, Plush, Sex Type Thing
Voto: 7,5
E’ l’album più venduto dei STP e l’album più venduto di tutti i tempi negli Stati Uniti. Le vendite di questo album sono state favorite dal singolo “Plush”, che ha vinto il Grammy Award nel 1993. [fonte Wikipedia]

Parto chiedendo scusa al mondo intero per il fatto che, sinceramente, quest’album è stato fra gli ultimi che ho scoperto. Così come la band. Per me, dunque per assurdo, ci sono stati prima gli Stone Temple Pilots come gruppo di cui aver ascoltato qualcosa senza averne apprezzato nulla, poi i Velvet Revolver per il grande Slash e poi su Virgin Radio trasmettono “Creep” e da questo nasce l’amore. Ascoltai l’album e ne rimasi a dir poco folgorato. Si tratta di un capolavoro, di un album completo, di un impatto, sia pur molto simile agli Alice In Chains e ai Soundgarden, particolare ed estroso, a mio avviso.
Si narra che Scott Weiland abbia registrato quest’album e “Libertad” (Velvet Revolver) da sobrio, a differenza di tutte le altre incisioni. Fantastico direi…
Vengono considerati “grunge”, nonostante la loro lontananza da Seattle (nascendo a San Diego come band e crescendo a Los Angeles), per il loro sound molto metal e crudo al contempo, anche grazie alla voce inedita e quasi volgare di Scott.

1- Dead and Bloated
La prima canzone. Come evidenziato dagli appunti iniziali è una delle quattro canzoni che più mi ha colpito in quest’album. L’inizio è da restare a bocca aperta: avvio cantato ad effetto radio o comunque voce lontana con effetto megafono, e poi una secca batteria invita le distorsioni delle chitarre a dare il via ad un brano senza dubbio duro, accattivante. Strofa cattiva, variazioni nelle strofe corali da pelle d’oca e, dulcis in fundo, un ritornello davvero stupendo per sonorità, melodia, leggerezza di spirito e voglia di urlarlo. Stupendo brano.

2- Sex Type Thing
In questo brano, per uno come me che ha fatto un percorso a ritroso partendo dai Velvet Revolver, forse non a caso si sente immediatamente un riff familiare. E’ davvero un riff alla “Slither” (Velvet Revolver) quello che apre le danze nel secondo brano dell’album e ci accompagna nelle strofe. Forse grazie al flusso rock anni ’80, però ci ritroviamo davanti ad un ritornello molto melodico e, anche questo, da urlare a squarciagola in camera, accompagnato da accordi aperti dove i migliori capelloni getteranno le chiome verso la schiena guardando in alto.. ad occhi chiusi gridando le parole del ritornello. Questo sarà uno di quei brani che faranno la storia della band.

3- Wicked Garden
La terza traccia, a mio parere, richiama un sound un pò più vecchietto, malinconico, con qualche riferimento casuale ai Pearl Jam e ai Soundgarden. Venature forse impercettibili che mi riportano a pensare un grunge più seattleiano e più indicativo di quegli anni. Un ritornello cantato in maniera, invece, malinconica e cantilenosa, mi porta a pensare al buon Staley degli Alice In Chains. Forse, e quasi sicuramente, impressioni sbagliate, che però, ahimè, mi portano a svalutare questo brano. Forse ascoltato senza conoscere le band sovracitate sarebbe stato d’aiuto.

4- No Memory
E’ un brano strumentale di 1 minuto e 22 secondi circa. Un arpeggio con chorus. Particolare e semplice allo stesso tempo, mi piace considerarlo come l’inizio potenziale di una canzone mai terminata o, in maniera più ovvia, un intro falso della quinta traccia dell’album.

5- Sin
Il titolo del brano è una etichetta della band o, comunque, della vita che faranno. Canzone ritmata nel puro stile grunge, quasi prematuramente post-grunge, che musicalmente segue ancora una volta un filone prettamente Soundgardeniano, se mi è permesso il termine, ben distante però dalle prestazioni vocali del buon vecchio Cornell. Credo che, a prescindere dall’inquadratura iniziale, “Sin” sia comunque un brano che non trova giusti sfoghi, corrette espressioni, tanto meno le giuste potenzialità per lasciare un segno all’interno dell’album, se non per un riff di chitarra col chorus con una batteria su charleston leggera, che regala al brano un tocco di personalità. Il calando verso la fine della canzone, inoltre, è di una semplicità e banalità che impoveriscono ad un primo ascolto la canzone, rendendola poi non molto più particolare di quanto non sia, anche a causa di un assolo poco orecchiabile, ma che personalmente ritengo molto adatto alla base che gli si presta.

6- Naked Sunday
E qui si parte sulle sperimentazioni, su un’impronta più emotiva della band, più effetti, più groove, una rabbia scandita che sembra ben coinciliarsi con quella che poi risulta essere la natura della canzone. Le grida principali, a mò di ritornello, insieme ad un wah-wah non mal disposto, rendono il brano personale e molto grintoso. Uno di quei brani che, comunque, richiederebbero l’ascolto per più volte. Qui, più che mai, credo si parli di Stone Temple Pilots veri (e lo dimostra anche il fatto che tutti i componenti della band risultano autori di questo brano), con quelle che sono le sonorità autentiche non-seattleiane del periodo, come quelle di Los Angeles dei tempi (forse anche un pò dei L7 di qualche anno prima).

7- Creep
Signori e signori, vi presento la poesia. Una canzone banale per la musicalità, ma di un’espressività che raramente è possibile ritrovare in una canzone. Si tratta di una ballata sulla quale è possibile pensare solo ai propri sogni. Il testo parla di un uomo che non riesce ad essere nemmeno la metà di quello che dovrebbe. E’ davvero la “Nutshell” degli Alice In Chains o la “Something in the way” dei Nirvana del tempo, ovvero un pezzo che, sono convinto, al momento della creazione sapeva già di poter entrare nella testa di tutti. Una chitarra semplice, una batteria semplice, un basso semplice anche se ben disposto in alcune parti, una voce che, nonostante la sua spigolosità, riesce ad essere calda ed emozionante, controvoci rasenti al banale ma colme d’animosità, un cambio tra pulito e distorto ricco di sensualità musicale. Un chorus che, se non fosse stato un brano registrato nel ’92, molto probabilmente avrei tolto.
Canzone da inserire nella playlist di sempre!

8- Piece of Pie
Ancora una volta si torna ad un groove indice delle band di Seattle di un paio di anni prima. Ma anche di quello che sarà il filo conduttore in molti brani dei Velvet Revolver nel ventunesimo secolo.
“Piece of Pie” è un brano niente male, dove Scott mostra la sua estensione vocale, con quelle venature di voce schiarite e quasi soffocate, urla sibilate, che lo renderanno unico. Ancora una volta effetti alla voce in alcune parti, stile megafono. La grinta del brano è evidente anche lì dove lo stoppato e le grida ci accompagnano all’ascolto del ritornello che incomberà di lì a poco. Parte melodica presente che riporta un sound malinconico. Un assolo che, per quanto sia assolo, nel totale risulta in sordina.

9- Plush
Il brano cult dell’album. Qui si parla di Stone Temple Pilots, si parla di post-grunge, si parla di Scott Weiland come Scott Weiland e non come un sosia di qualcuno. Dolci le sonorità, le scelte di cambi di tempi, l’opzione di avere subito un pre-ritornello quasi ritornello senza dover ascoltare due strofe, anche se accade ugualmente visto che il ritornello arriverà più avanti, esattamente strutturata in maniera del tutto simile a “Dead And Bloated”. “Plush” è un brano inedito nel ’92, un brano che serviva ad aprire il mondo degli STP, ma anche di quello che avrebbero portato insieme, come la voce di Scott, le chitarre con riff anni ’80 dell’hard rock e spicchi di novità che avrebbero, poi, accantonato quasi del tutto i vari chorus e compagnia…
La canzone si lascia ascoltare, è uno di quei brani che resta impressi, è divertente, riesce ad offrirsi come grunge anche ad un pubblico più classic rock.

10- Wet My Bed
Inizio Indie, megafono alla voce, un parlato pacato e pensieroso, da ascoltare con le cuffie per goderne la musicalità, la calma, i pensieri e i concetti che il tutto, comprese le vocine in background, vogliono far trasparire. Una chitarra incalza, così come la voce. Questo è il brano: 1 minuto e 38 secondi. Compito a casa (per chi ascolterà il brano): procurarsi il testo. 😉

11- Crackerman
L’album sta per concludersi ma, si sa, gli ultimi brani negli album sono sempre quelli più espliciti delle band, forse i meno studiati, quelli che comunque sia hanno una percentuale di gran lunga minore rispetto ai primi, statisticamente parlando (NON SEMPRE!!!), di essere ascoltati e, di conseguenza, di esser valutati. “Crackerman” è un brano, e mi scuso nuovamente per il paragone, alla Velvet Revolver, vuoi per il riff e vuoi, soprattutto, per il modo univoco di cantare di Scott. Belle le chitarre, divertenti, batteria alla Guns’n’Roses. Canzone che scivola tranquillamente e non sempre potrebbe rimanere in disparte. Infatti è sicuramente da ascoltare, nonostante la sua ovvietà.

12- Where The River Goes
L’ultimo brano dell’album inizia con un groove semplice di batteria, poco dopo arricchito da un’euforia un pò insensata di chitarre. Il groove della strofa è, sfido a dire il contrario, mooooolto Soundgardeniano e dirlo nuovamente nello stesso album non è il massimo, anche se è giustificabile visto il periodo e la situation di quegli anni. Negabile il gusto per la scelta delle melodie, anche per loro stessi che non hanno inserito chissà quali novità all’interno di questo brano. Ma, in fondo in fondo, chi se ne frega… è l’ultimo dell’album. In realtà il ritornello è accattivante, grintoso, e rende il brano più personale e più unico. Ripetendomi i riff delle chitarre e il solito fade in di volume, tipically ’80-’90, rendono la canzone la tipica song da chiusura di un album.