Alice In Chains: “Facelift” (1990)

18 09 2008

Titolo: Facelift
Autore: Alice In Chains
Anno: 1990
Best Songs: Man In The Box, We Die Young
Voto: 8,5
Facelift disco d’oro nel 1991

Uscito ufficialmente nel 1990 sotto l’etichetta “Columbia”, Facelift è il bigliettino da visita degli Alice In Chains. E’ un album indice della nascita del grunge a Seattle, ma anche la messa a punto di un nuovo stile di fare metal, più malinconico, leggermente fuso con le impronte tipiche americane del metal anni ’80. Il suono della band cambia e si definisce in “Facelift”, andandosi così a distaccare dai primi brani della band, crudi e decisi, ma pur sempre ancora legati ad uno stile più hard rock di quegli anni che a qualcosa di inedito (“Social Parasite”, “King of the Katz” e altri bootleg). Ricordo: primo e ultimo album con Michael Starr al basso.

Analisi delle canzoni:
1 – We Die Young
E’ l’indice, è l’apice, è il tutto, è un riassunto di quello che sono e saranno gli AIC. Il brano dà il via in maniera esplosiva ad un album che, come già detto, presenta il lato nuovo, grezzo e diretto della band. La chitarra di Jerry Cantrell è espressiva e chiara, cosa che andrà mutandosi poi col tempo, così come la voce di Layne Staley. La negatività è un pò messa da parte musicalmente con il riff comunque brioso, ma ripreso da una serie di seconde voci più calanti e buie.

2- Man In The Box.
Siamo ancora al secondo pezzo e, dopo essersi presentati alla grande con “We Die Young”, gli AIC spaccano tutto con la pietra miliare della loro storia e una perla della storia del rock. “Man In The Box”, nella sua semplicità di struttura musicale, nel suo testo schietto, nella quasi banalità degli accordi, è un capolavoro, esaltato dalle grida stupende di Layne durante il ritornello (sottolineo l’ultimo ritornello, con la variante della prima frase). La tematica è quasi banale, ma al contempo così esplicita da risultare tagliente: il soffocamento e la sensazione di prigionia di un uomo in una scatola. Per gli amanti consigliato il video, dove Layne sottolinea, a differenza della maggior parte dei video degli AIC, la sua voglia di fuggire e il suo senso di soffocamento rispetto al mondo. Infine l’assolo: ritenuto uno dei più belli di sempre. Che dire, Jerry e la sua G&L ci sapevano fare.

3- Sea of Sorrow
Un brano apparentemente cupo, ma molto solido, concreto. Sonorità riviste rispetto a versioni bootleg precedenti, si presenta come un brano nuovo, diverso dal metal degli anni ’80, più “aliceinchainsiano” direi. Sean Kinney sa il fatto suo e lo dimostra divertendosi ampliamente in questo brano suonato a braccetto con Cantrell e Starr. Stupende le seconde voci e un fantastico Layne.

4- Bleed The Freak
E come quarto brano un altro capolavoro del quartetto. Si tratta di un brano rock dai suoni taglienti, dai riff spigolosi e molto metal. La chitarra di Cantrell si diverte, è esplosiva, fino ad un punto più calmo, malinconico, dove il gruppo scorre come sangue nelle vene, si lascia andare, e Layne si libera con esso, fino ad una esplosione di rabbia e di urla. Molto meglio, bisogna dirlo, l’effetto della canzone rispetto alla versione precedente all’album, sia per i suoni che per i tempi che per il modo stesso di cantarla.

5- I Can’t Remember
Si tratta di uno di quei brani che mostra in anteprima quello che sarà la band in quegli anni, quello che significa “grunge” per le band di Seattle, quello che si vive. Si sentono sonorità rallentate, malinconiche, strazzianti, stancanti. Il suono degli AIC sarà proprio una implosione di rabbia che, invece di esplodere prendendo chiunque a pesci in faccia, si chiuderà dentro di se, vinto dalla rabbia stessa, dalla realtà che risulta essere troppo amara per poter esser mandata giù. Gli arpeggi e le urla di Layne, assieme ai tempi altalenanti e all’alternanza spessa dei suoni, rallentano in maniera innovativa quel senso di angoscia che si credeva conoscere, ma che in realtà non era mai stata così evidente…

6- Love, Hate, Love
…o quasi. Con questo brano gli AIC di Facelift raggiungono la profondità massima, la depressione autentica. Suoni spezzati, distaccati, tempi scanditi, vocali aperte ed urlate durante uno pseudo ritornello, arricchite da voci ancora più malinconiche in sottofondo (grande Jerry). Un brano che chiunque avrebbe fatto partire lento per far esplodere dopo, ma che in realtà non trova mai uno sfogo reale e resta sempre tale, sottotono, ricco di povertà, sprezzante di una rinascita, diffidente, capace di crogiolarsi nella sua stessa pena. Un tormento, un altro capolavoro del sound della band.

7- It Aint Like That
E da quì, a mio parere, parte l’ondata di canzoni alla Jerry Cantrell, dove chitarra, hard rock e poca depressione (PER QUANTO POSSIBILE) vanno a braccetto. Con questo brano l’album inizia quasi a rinascere, ma le due voci e gli accordi pesanti fanno si che tutto questo risulti difficile, più stancante. Anche se Layne sembra crederci (a voi capire dove…). L’assolo è inizialmente spento, ma capace di saper esprimere una nuova melodia sul brano. Valide le sonorità che Jerry Cantrell cerca di abbinare al brano, con fischi di chitarra, scale quasi dissonanti, ma, comunque, un assolo in alcuni punti quasi ovvio.

8- Sunshine
E vai con l’hard rock puro. Quì ci si diverte. Un pezzo pimpante, sempre per quanto possibile, nonostante i tempi rallentati nella prima parte delle strofe. Belli e divertenti i riff sia per la chitarra che per la batteria. A mio parere lascia quasi a bocca aperta un ritornello come questo: di gran lunga rallentato rispetto al resto della canzone, quasi liberatorio, molto rock melodico anni ’80 nelle controvoci finali. Ma, personalmente, un gran pezzo. Assolo quasi da pelle d’oca.

9- Put You Down
Esplicita traduzione del titolo. Brano hard rock con due modalità di canto tra strofa e pre ritornello che valorizzano le capacità di questa band. Nel ritornello ricordano un pò gli AIC dei bootleg, così come i riff stessi, briosi e divertenti. La semplice distorsione è in grado di arricchire ed evidenziare le varie parti della canzone, sia nella strofa, sia nel pre ritornello che nel ritornello. Bello il rallentamento verso fine canzone, per il divertimento di Layne.

10- Confusion
Brano esplicitamente depressivo, sia per arpeggio che per voce, nella prima parte. Esplosivo, questa volta, l’attacco e l’estraeazione dei problemi personali di Layne nel ritornello, che attacca con una vera e propria rivelazione e liberazione, sia musicalmente che vocalmente. Parte armonizzata a due voci, tipically AIC, che va un pò in secondo piano, anche a causa del riaggancio con le strofe.

11- I Know Somethin
Ma sto brano da dove esce?!?! Ebbene si, quì ci si diverte in quattro: voci, chitarra, batteria e basso all’unisono per un brano che richiama le venature del passato dei quattro, con uno street metal molto rustico nei riff, molto poco grunge, moooooooolto hard rock divertente, con una incredibile ed impensabile venatura funky. Brano spesso in ombra, ma davvero grandioso. Consigliato.

12- Real Thing
Il sound quasi country e texano, accompagnati da un filo di voce blues e rock’n’roll, si sposano, non davvero molto felicemente a mio parere, nel brano conclusivo dell’album. Forse non di facile comprensione, non certamente di impatto, non sicuramente d’esaltazione di doti. Layne canta, ma non so quanto fosse lì nel brano. Jerry Cantrell c’era, ovviamente, ma gli altri un pò meno. Comunque sia una degna chiusura per un grande album. Per fortuna a salvare il brano accorre il ritornello, non malaccio, ed un wah-wah non indispensabile…